La Campania purtroppo è la leader in questo settore non positivo per la salute, ammette l’esperto, poiché anche l’ultimo censimento “ha dimostrato che poco più del 40% dei bimbi campani dai 7 ai 9 anni ha un peso superiore rispetto a quello che dovrebbe avere: il 30% è in sovrappeso e il 10% è francamente obeso. Un problema che si riflette sul presente e sul futuro, quando il bambino diventerà adulto”.
Tra le problematiche di salute innescate dal sovrappeso e dall’obesità, si va da quelle più evidenti “come le ortopediche, con il ginocchio valgo e il piede piatto, a quelle più insidiose quale l’ipertensione, tanto che circa il 30% dei bambini obesi è iperteso”. O ancora: un’altra complicanza su cui si è molto indagato è “la steatosi epatica- fa sapere il docente universitario- e in circa il 40% dei bambini obesi, anche a 5-7 anni, se dovesse essere eseguita l’ecografia epatica risulterebbe questa presenza di grasso nel fegato. Non dimentichiamo poi la sindrome metabolica, i problemi legati al sonno, le apnee notturne e tutta una serie di problematiche che andrebbero valutate nella fascia preadolescenziale e che risultano legate ai rapporti con gli altri, alla potenziale depressione e alla non accettazione di se stessi. Difficoltà di ordine psicologico che si manifestano a volte in maniera importante”.
L’esperto traccia inoltre un bilancio del rapporto Covid-obesità a un anno dall’esplosione della pandemia in Italia. Un rapporto che, per Miraglia del Giudice, dovrebbe essere letto in due direzioni: “Da un lato gli obesi adulti hanno un maggior rischio rispetto ai soggetti non obesi di avere conseguenze più gravi dall’infezione Covid-19”. Un rapporto reciproco “nel senso che il Covid a sua volta può innescare un aumento del livello di obesità anche in età pediatrica a causa di una modificazione dei comportamenti e degli stili di vita indotti e generati dalla stessa pandemia: Dad, chiusura delle scuole, ridotta capacità di movimento, tempo triplicato di esposizione ai device digitali e alla tv, risvegli e addormentamenti più tardivi. Tutti questi fattori- ricorda il pediatra- hanno fatto sì che il bambino assumesse comportamenti che favoriscono la comparsa dell’obesità”.
Sulle politiche da adottare, l’esperto ne suggerisce due tipologie: “Oltre a garantire la cura giusta e dovuta al bambino, occorre una prevenzione a 360 gradi che parta dalla gravidanza”. Questo perché si è visto che un “incremento eccessivo del peso della mamma durante la gestazione è legato a un aumentato rischio di obesità in età pediatrica- sottolinea l’esponente della Società Italiana di Pediatria (SIP)- ed è importante suggerire con forza sia l’allattamento materno che un’operazione culturale di educazione alimentare nelle scuole e nella società per informare le famiglie. Il messaggio che deve passare ai genitori è che lì si gioca la vera partita. Il fattore di rischio maggiore di obesità per un bambino è nella presenza di obesità nei genitori, senza ovviamente tralasciare la componente genetica dal momento che l’obesità è una malattia multifattoriale”. Purtroppo però è molto difficile riuscire a riportare un bambino obeso a un peso normale, da qui il monito che Miraglia del Giudice rivolge a tutti i pediatri: “Nei primi 4-5 anni vita il pediatra ha la possibilità di poter capire non solo se il bambino è già in sovrappeso o obeso, ma, soprattutto, se si sta predisponendo a diventare sovrappeso oppure obeso. Se osserviamo la tabella dei percentili del BMI (Body Mass Index) notiamo che dai 2 ai 6 anni normalmente si riduce- conclude- se invece tende a salire si avrà un fenomeno precoce di “adiposity rebound”. Questo vuol dire che il bambino si sta predisponendo a diventare sovrappeso o obeso, cosa che ormai possiamo intercettare precocemente”.